Un recente articolo apparso sulle pagine de El Pais ha richiamato la mia attenzione, soprattutto dopo la lettura estiva dell'ormai osannato "Groundswell" di Josh Bernoff.
L'articolo parte da lontano, anche se non lo lascia a intendere: narra dei primi passi di Vichy, brand del gruppo L'Oreal, nella blogosfera ( e quindi si parla di eventi collocabili temporalmente nel 2004...). Per chi non conoscesse l'antecedente invito a leggere l'interessante rassegna del caso firmata da Shel Israel , del quale è in uscita sul mercato americano un testo che non mancherò di leggere, "Twitterville".
In breve, Vichy è stata una delle (non poche) aziende ad entrare nella blogosfera con malizia (analogo caso ha interessato il colosso Coca Cola al lancio della Zero sul mercato australiano supportato da una fake community sul web... una campagna da 18 mil di $ che ha avuto tra i suoi frutti siti parodia come questo), ovvero cercando di dare in pasto agli internauti che una signora non più giovane, la sedicente Claire, era rimasta affascinata dagli effetti della nuova crema anti-età e ne parlava spontaneamente su un blog (se lo trovate in rete lasciate un commento sul post, io non ne sono stato capace).
Ma l'onda anomala non tardò a scoprire l'inganno, e l'azienda francese, ben consigliata da Loic Le Meur, tardò poco nel correre ai ripari scusandosi con il pubblico e dando vita ad un vero e proprio blog... che però non mi risulta sia ancora vivo! (di nuovo, se lo trovate, segnalatelo).
L'onda - che sarà il leit motiv del mio intervento all'imminente seconda edizione del Festival dell'Economia3 di Prato - non perdona, ma soprattutto vigila, parla, alimenta un flusso di informazioni che le aziende non possono arginare.
Ecco perchè oggi Internet è il territorio sul quale i grandi non possono fare a meno di stare, ed i piccoli farebbero bene ad arrivare non troppo tardi. Forse non sarà domani, non sarà il mese prossimo, ma ormai siamo abituati a cambiamenti epocali che si consumano nel giro di pochi anni. Oggi Giampaolo Fabris ironizza sui difetti visivi dei professionisti del marketing, rei di non riuscire a contestualizzare la complessità del vissuto dei consumatori, mentre già nel 1972 McLuhan in "take Today" prevedeva la confluenza in un'unica figura del produttore e del consumatore, il PROSUMER coniato da Alvin Toffler nel suo "la Terza Ondata" del 1980.
Non so perchè il prof. Fabris ce l'abbia tanto con i professionisti del marketing (ho contato almeno 3 post critici, per non dire anti-....): il mondo è complesso, non solo quello della finanza, i guru non mancano, ma neppure gli imbroglioni. Ma soprattutto nel marketing domina ancora una corrente tradizionalista (esistono i talebani del marketing), le barbe lunghe che ancora credono agli spot tv e ai banner internet come il miglior modo di restare in contatto con il proprio pubblico. Se è a loro che si rivolge il prof. Fabris, condivido. Ma "al di sotto della linea" di visibilità credo che l'Italia abbia non pochi talenti, professionisti capaci di far superare la crisi alle non poche aziende in difficoltà. Certo, bisogna sapere a quale porta bussare, perchè il mondo dei consulenti cela tanti prestigiatori al suo interno, ma anche tante competenze e risorse di valore.
La crisi: dov'è il marketing? Non credo che le risposte possano arrivare dai canali tradizionali, nè dalle grandi agenzie pubblicitarie (e la pubblicità è solo uno degli strumenti del fare marketing). E una buona risposta non consiste in una ricetta unica e buona per tutti i palati.
Personalmente, ai miei clienti da 2 anni a questa parte chiedo meno risorse da destinare in pubblicità, ma più tempo da dedicare nella coltivazione delle relazioni con i rispettivi interlocutori. Chiedo più attenzione, maggiore capacità di ascolto. Chiedo più dialogo, e maggiore capacità di addentrarsi con coraggio nella complessità. Sperimentando, ma non mentendo. Le bugie, si sa, hanno le gambe corte.
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